TITOLI BANCA POPOLARE DI BARI: DIECI ANNI PER LA RESTITUZIONE

30/11/21

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Il tribunale di Tribunale Santa Maria Capua Vetere con sentenza del 3 novembre 2021 ha accolto la domanda del risparmiatore che aveva visto sfumare tutti risparmi investiti in  azioni e obbligazioni di banca Popolare di Bari.

Il termine di prescrizione del diritto alla restituzione

Il cliente della banca fra il 2009 e il 2014 fidando nella consulenza dei funzionari aveva acquistato oltre 80.000 euro di titoli, poi completamente azzerati dalla svalutazione delle azioni.

Accertato che manca il contratto quadro di servizi investimento, il giudice interviene in primo luogo a smentire la tesi che sostiene la prescrizione quinquennale dei diritti connessi alla nullità di protezione. Infatti, si legge nella sentenza che    “Alla nullità di protezione posta a tutela dell’investitore che dunque decide se avvalersi o meno della stessa non si applica la disciplina propria dell’annullabilità e, quindi, l’esercizio dell’azione nel termine quinquennale di prescrizione, bensì il regime proprio della nullità e perciò l’imprescrittibilità della relativa azione. “

Il contratto quadro in forma scritta

Nel merito della domanda il Tribunale accoglie la domanda di restituzione dell’intero importo investito perché la banca non ha fornito copia del contratto quadro, obbligatorio per la validità delle operazioni di investimento.

Il giudice, comunque, sottolinea i principi generali che reggono la normativa di tutela del risparmiatore, e in particolare quelli affermati dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. n. 52 del 2010) che ha esplicitamente affermato che, nella disciplina dettata per i «contratti aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati, il legislatore ha inteso tutelare il mercato stesso, la sua stabilità, nonché i risparmiatori che vi operano» individuando nelle norme relative al contratto una finalità di protezione «della sfera giuridica dei soggetti che accedono a tale tipologia di finanziamento, i quali sono considerati alla stregua di contraenti deboli, che si trovano rispetto al professionista che opera nel mercato in una posizione di asimmetria informativa» e chiarendo, proprio con riferimento alle norme che introducono la nullità relativa, che esse «mirano a tutelare la parte che, in ragione della sua debolezza contrattuale derivante da oggettive deficienze informative, occupa nel rapporto contrattuale una posizione diseguale rispetto al professionista».

Nel quadro generale di protezione del contraente debole il requisito della forma scritta è essenziale perché risponde non soltanto ad una esigenza di tutela dell’investitore – contraente debole, ma del mercato in generale, avendo la normativa sugli intermediari finanziari la finalità di sterilizzare un anno collettivo fatto di costi sistemici di convenienza e transattivi, perché la nullità è rimedio che scaccia un guadagno socialmente improduttivo.

Le violazioni degli obblighi informativi

La sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere non si fonda su principi dirompenti, dal momento che  la mancanza del contratto quadro rende praticamente automatico l’accoglimento della domanda di restituzione ed inutile l’indagine sugli altri aspetti lamentati dal cliente.

Infatti, le violazioni massive della banca nel collocamento delle azioni, anche laddove esiste il contratto quadro,  riguardano, nella maggior parte dei casi, la completa assenza di informativa sui rischi dell’investimento in azioni  illiquide, perché non quotate in mercati regolamentati. Su tali questioni l’istruttoria  necessita di una maggiore complessità, al fine di accertare la violazione dei doveri di correttezza e trasparenza che gravano sulla Banca.

Si tali aspetti le decisioni dell’Arbitro delle Controversie Finanziarie presso la Consob, in numerosissime occasioni, ha dato ragione ai clienti condannando la banca a restituire il la differenza fra l’investimento e il controvalore alla data del ricorso.

Link e documenti: Tribunale Santa Maria Capua Vetere sentenza del 3 novembre 2021 

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